Proverbi e modi di dire italiani: i 10 più famosi di sempre!
I proverbi e i modi di dire fanno parte da sempre della cultura linguistica italiana, e vengono utilizzati dalla...
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Il 4 dicembre 2017 è la data in cui “Fratelli d’Italia” – altrimenti conosciuto come “Il canto degli Italiani”, è divenuto ufficialmente l’Inno nazionale d’Italia. Utilizzato, infatti, per 71 anni in qualità di inno nazionale, il famoso “Inno di Mameli” non aveva mai ricevuto un riconoscimento legale che sancisse definitivamente il suo status.
Risale al 12 ottobre 1946 l’adozione provvisoria, da parte del Consiglio dei Ministri, del “Canto degli Italiani”, in seguito a una proposta portata davanti dall’allora Ministro della Guerra, durante il Governo di Alcide De Gasperi. In quell’occasione si stabilì che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al Presidente della Repubblica si sarebbe tenuto il 4 novembre, adottando allo stesso tempo l’inno di Mameli come Inno nazionale.
Molti anni più tardi, nel corso della legislatura 2001-2005, poi, fu presentata una Proposta di Legge di adozione dell’Inno che, tuttavia, non fu mai approvata. L’episodio si ripeté praticamente immutato anche nel corso delle legislature 2006-2008 e 2008-2013. Per questi motivi e per diversi decenni, si è discusso anche animatamente intorno alla necessità di intervenire – per Legge – al fine di rendere il Canto, di fatto, Inno della Repubblica Italiana.
Grazie alla Legge approvata nel 2017, la Repubblica Italiana riconosce nel testo del “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli, insieme allo spartito musicale originale firmato da Michele Novaro, il proprio inno nazionale. Nella normativa si fa riferimento a tutte le sei strofe comprese nel testo.
“Fratelli d’Italia”, il Canto degli Italiani, fu scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847. Il testo, firmato da un’allora studente oltre che patriota genovese, rispecchiava appieno l’atmosfera che caratterizzava l’Italia dell’epoca, pervasa da fortissimi sentimenti patriottici. Tra l’altro, la sua composizione, sulla cui data precisa esistono opinioni discordanti, giunse comunque a ridosso dei primi moti insurrezionali di Genova – come tramandato dal poeta Giosué Carducci – nel corso dei quali furono richieste riforme. Mameli spedì il testo dell’Inno a Torino, dove il maestro Michele Novaro lo musicò. L’autore, un repubblicano giacobino sostenitore dei principi rivoluzionari francesi, scrisse l’inno ispirandosi direttamente all’Inno Nazionale francese, “La Marsigliese”.
Costituito da sei strofe e da un ritornello cantato alla fine di ognuna, divenne molto popolare nel corso del Risorgimento italiano. Nella sua versione originaria, tuttavia, era presente una strofa dedicata alle donne italiane che fu poi eliminata da Mameli. Sempre in quella stesura, la prima strofa incominciava con un “Evviva l’Italia”, che l’autore sostituì con l’ormai famoso “Fratelli d’Italia”.
La prima stampa dell’inno fu realizzata dalla tipografia Casamarra di Genova e distribuita il 10 dicembre 1847 ai partecipanti di un corteo che si tenne nel quartiere di Oregina. A quel foglio, Mameli aggiunse a penna, di suo pugno, la quinta strofa, censurata dal governo per la forte valenza anti-austriaca. In seguito, e fino al 1848, il testo di Mameli fu proibito dalla polizia sabauda, oltre che da quella austriaca.
Fino al 1861, tuttavia, l’Inno del Regno d’Italia fu rappresentato dalla “Marcia Reale” di Casa Savoia, e quello di Mameli tenuto ai margini per la sua forte connotazione repubblicana. Inoltre, il testo di Mameli subì anche la forte concorrenza del “Va pensiero”, tratto dal “Nabucco” di Giuseppe Verdi. Per questi motivi, la scelta cadde sull’Inno solo al momento del passaggio dalla Monarchia alla Repubblica e, oltrettutto, in maniera “provvisoria”. Una provvisorietà, si è visto, diventata poi consuetudine.
Un manoscritto autografo dell’Inno nella sua prima versione è custodito presso l’Istituto Mazziniano di Genova. Il manoscritto spedito da Mameli a Novaro è presente presso il Museo del Risorgimento di Torino. Quello firmato da Novaro, e spedito all’editore Fransceso Lucca, invece, è conservato nell’Archivio Storico Ricordi.